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Zuppa fredda di pomodorini, feta e fiori aromatici

Agosto 28, 2009 by Paola Sersante 15 commenti

Era da un po’ che cercavo una zuppa di pomodori, ma che fosse da gustare fredda, e senza cottura. Ne avevo anche lette in giro ma non me ne sono mai “innamorata”.
Poi l’altra notte, stavo ancora vagando per la rete, vedo la sua, sul suo blog, il pasto nudo.

zuppa fredda di pomodorini e feta

 


Adoro
questo blog, senza orpelli inutili, anche nel cibo, un pasto nudo appunto, ma ricco di tradizione, di naturale, di semplicità.
Mi piace lei, il suo modo di raccontare una ricetta, l’attenzione che pone alla qualità degli ingredienti, mai a caso, il suo amore per le cose fatte in casa, e mi è piaciuto come ha raccontato la sua zuppa di pomodori fredda, quando dice andate a cogliere le varie erbe aromatiche sul terrazzo… ecco, ho pensato, voglio una zuppa aromatica, vado in quella selva incolta del mio giardino, qualcosa trovo, la menta ci cresce rigogliosa!
I peperoncini freschi sono già belli gonfi, rossi e maturi, tanto che piegano i rami. Non amo i cetrioli, ma in compenso posso sostituire con un bel cuore di sedano, ce l’ha fatta anche lui nella selva incolta…
Non ho il primo sale di capra, ma ho della feta, capitata chissà perchè in frigorifero! ma succede solo a me di comprare un tale ingrediente perchè devo fare quella ricetta, e poi mi dimentico qual era la ricetta?? ditemi di sì, vi prego!

Su ‘sta feta c’è poi una storia buffa, va a fare la spesa mio marito, cerca la feta non la trova e chiede alla commessa…
scusi dove sta??
e lei, ma sicuro che vuole la feta??
lui, sì perchè?
no, perchè mica è tanto buona, eh? fa lei, che ci deve fare?
(eh, a ricordarselo cosa ci dovevo fare…)
ci deve cucinare mia moglie!
ah, per cucinare va bene, allora! fa lei.
eh, da mangiare così, no invece, vero??
 
Tornando a noi, il timo c’è, la menta anche, quasi quasi uso i fiori, sono così carini! ha fiorito pure il finocchietto selavatico, quasi quasi ce lo metto
I san marzano non li ho, in compenso ho dei ciliegini rossi, dolci e succosi… ok vado in giardino, la ricetta l’ho un poco modificata, ma è a lei che mi sono ispirata… grazie izn!

 
ZUPPA FREDDA DI POMODORINI E FETA
 
Ingredienti: dosi rigorosamente a occhio o gusto, insomma fatela come più vi piace
pomodorini ciliegini
feta
basilico
timo
fiori di finocchietto
fiori e foglie di menta
basilico
1 cuore di sedano
1 peperoncino rosso piccante fresco
sale
pepe
olio extra vergine di oliva
1/2 cucchiaino di aglio, olio e peperoncino

Procedimento:
copio dal suo apportando le mie modifiche

 

Lavate i pomodorini, tagliateli ognuno in due o tre pezzi, poi una metà passateli al passaverdure (con i buchi medi) l’altra metà lasciateli a pezzi.
Versate passata e pomodorini a pezzetti in una ciotola grande, unite l’olio santo aromatizzato all’aglio, qualche foglia di basilico, il sedano e il peperoncino a rondelle. Condite con l’olio e aggiustate di sale e pepe.
Coprite con la pellicola senza pvc e lasciate riposare in frigo almeno un paio d’ore, i sapori si fonderanno perfettamente tra loro e la salsa si raffredderà.
Intanto andate a cogliere le varie erbe aromatiche sul terrazzo o giardino, staccate le foglioline dai rametti del timo, pulite i fiori di finocchietto e menta e lavate le foglie.
Tagliate la feta a tocchetti.
Tirate la salsa di pomodori fuori dal frigo, mescolateci le erbe aromatiche, i fiori e aggiungete la feta, e, se avete proprio caldo caldo aggiungete un paio di cubetti di ghiaccio.
Prendete due belle ciotole e versateci una bella mestolata di zuppa e guarnite con le foglioline di fresche basilico, menta e timo, una bella spolverata di pepe, e ancora un filo d’olio extra vergine d’oliva.

Servite con una bella fetta di pane fresco o tostato.

 

Ah, vi ricordo che il 31 Agosto scade il Giochino dell’Estate! mandatemi le vostre ricette e ovviamente le foto!!

 

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Il borbottino del Tosco, anzi del su’ nonno

Maggio 2, 2009 by Paola Sersante 18 commenti
Diciamo che con questi primi raggi di sole avevo voglia di qualcosa di semplice e fresco, anche se questo accostamento di sapori forti e decisi, può diventare un piatto unico, specie se, come dice il Tosco, lo si accompagna con un bel pezzo di pane toscano e un bel bicchiere di vino!
Sapori semplici,  piatti di poca apparenza e di molta sostanza…


Diciamo anche che, leggendo tra le ricette del Tosco, alias Gabriele Giovannelli, che poi ricette non sono ma racconti meravigliosi, mi sono imbattuta in questo borbottino del su’ nonno, e la prima cosa che ho pensato è di rifarlo tale e quale, la seconda di condividere il meraviglioso racconto con voi!!
 
IL BORBOTTINO DEL TOSCO, ANZI DEL NONNO DEL TOSCO
 
Lo diceva sempre il mì nonno, davanti a questo piatto.

 

Grande persona, il nonno. Ha segnato la mia vita in maniera indelebile. Spirito libero, autodidatta (aveva fatto la terza alle scuole domenicali!) col quale potevi affrontare qualunque argomento sicuro di trovarlo preparato, profondo conoscitore ed amante della montagna. 
Avevo solo 5 anni quando mi portò in cima alla Calvana, la “montagna” di Prato, e di lì mi fece ammirare quel bellissimo panorama della piana Firenze-Prato-Pistoia che avevamo ai nostri piedi. 
 
Quante volte siamo stati “in poggio” insieme, tornando sempre con qualche dono: a seconda della stagione, radicchio selvatico misto (“metti sempre poca salvastrella, che ha un sapore forte!”), mazzi di giunchiglie o giaggioli o altri fiori profumatissimi oltre che splendidi, funghi pinaroli o pennecciole o vesce o prataioli (niente porcini, in Calvana un fanno), asparagi selvatici da noi detti “spazzole” a mazzi grossi come un tronco, fichi seccati sulla pianta perché mai colti (dolcissimi!), il formaggio del primo sardo che aveva cominciato ad allevare pecore su quella montagna identica a quelle della sua isola, carsica e brulla (ma il nonno ce l’aveva con lui: le sue pecore brucavano tutti i germogli delle giunchiglie, che infatti dopo poco sono praticamente sparite!).
 

 

Aveva conosciuto la fame, il nonno: a 4 anni l’avevano mandato a “girare la ruota” del cordaio, per portare a casa anche quei pochi spiccioli; e come tutti coloro che hanno vissuto quella tremenda esperienza era un buongustaio. Nel senso che apprezzava i sapori semplici, i piatti di poca apparenza e di molta sostanza, le ricette che consentivano di usare poco companatico e di molto pane. 
 
Oltre che in tantissime altre cose, mi ha influenzato anche in questo, il nonno: spesso, quando imbratto le pentole, penso che a lui certe cose sarebbero piaciute molto.
E ho ripensato a lui anche ieri sera, quando ho fatto “il borbottino” per cena. 
Con quella strana parola a Prato si indica in genere una ricetta che richiede un misto di ingredienti: tipico esempio di un “borbottino” ad esempio è la minestra di pane, con tutti quei tipi di verdura. E lo sarebbe, sempre per esempio anche il cacciucco; ma questo non è un piatto molto pratese…
 
Il nonno però con quella parola identificava questo: 
Si prendono dei fagioli bianchi lessati, possibilmente in forno* (qui da noi si trovano in tutti i panifici). 
La cottura dev’essere piuttosto prolungata, i fagioli molto ben cotti ed il loro brodo denso. Si tirano su scolati ma non troppo, ed in una zuppiera si condiscono con pezzetti di pomodoro maturo (oggi uso i ciliegini), cipolla a fette (oggi uso la Tropea)messa in un bicchiere con l’aceto a perdere “il forte”, radici (=ravanelli) anch’esse a fettine, tre o quattro foglie di basilico spezzettate, un bel pezzo di tonno sott’olio grossolanamente sbriciolato. Olio d’oliva di Filettole (paesino alle falde della Calvana, noto per dare un olio squisito), l’aceto in cui hanno riposato le cipolle, sale, pepe abbondante ed una bella mescolata.
Nient’altro, se non un filone di pane a portata di mano. E vino rosso.
 
Magari, se potete, provate a immaginare il mi’ nonno che lo mangia a grosse cucchiate, dicendo estasiato: “che borbottino…”!
 
Sì, non ci è voluto molto ad immaginare il nonno, mentre mangiavo il borbottino… grazie Tosco, e grazie al nonno !!
 
 
*I FAGIOLI COTTI AL FORNO
Il Tosco scriveva su Coquinaria:
 
Sono dei normalissimi fagioli lessati in forno, normalmente dentro pentoloni di coccio. Qui da noi è uso comune che i fornai, terminata la cottura del pane, sfruttino il calore residuo mettendoci dentro dei pentoloni contenenti acqua e fagioli. La cottura è lenta, perché il calore va via via diminuendo; ed il risultato sono fagioli molto cotti, morbidissimi e quasi disfatti, e la loro broda è densissima.
Per me sono una delizia: la mia cena preferita è una bella scodella fumante di quella meraviglia, condita con il nostro olio che al calore emana un profumo eccezionale, del sale ed una bella macinata di pepe. 

Spezzetto via via il pane, lo butto nella scodella e gli faccio assorbire un pò di liquido. Quindi, ogni cucchiaiata contiene un pò di pane leggermente imbevuto ma con la crosticina ancora croccante, fagioli e broda.
Sarò sciocco, ma per un piatto di quella roba lì rinuncio a qualunque delizia, d’autore o no.

Se vuoi provare a rifarli, metti la pentola (il coccio sarebbe importante, ma puoi usare anche una pentola normale) nel tuo forno a temperatura non alta (160-170 gradi) e lasciala lì per un pò di tempo (diciamo circa 1,5 – 2 ore) finché i fagioli, cannellini o (goduria estrema!) zolfini non stanno quasi per disfarsi.

 

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Voglio condividere con voi qualche foto dal gruppo Voglio condividere con voi qualche foto dal gruppo di supporto al corso Panettone 14-15 Ottobre.
E anche alcuni messaggi belli, che mi riscaldano il cuore e mi ripagano dell'impegno. 
E che mostrano anche come il gruppo sia di condivisione, dove ognuno aiuta l'altro nel percorso e nella crescita.
Il gruppo è stato creato un mese prima per poter seguire e dare supporto attivamente a tutti i partecipanti. 
Questo perché ho scelto di procedere durante il corso con una gestione completamente in naturale.
E' stata una scelta rischiosa, impopolare e azzardata la mia, che comporta anche eventuali piccoli insuccessi. 
Di solito in un corso, per essere tutti sincronizzati, si lavora con una piccola percentuale di lievito di birra sia in presenza e on-line. E questo mette al riparo da eventuali problematiche dovute al lievito madre.
In presenza spesso si lavora con un lievito madre sicuro che è quello di chi tiene il corso, e questo è sicuramente meno rischioso.
Questo non vorrà dire risultato certo, ma pazienza! Perché per arrivare al successo si passa attraverso tante piccole problematiche, delusioni, e anche risultati. Ma un panettone questo è, e non solo per gli amatoriali, anche per i professionisti che spesso si trovano ad affrontare problematiche gravi di gestione.
Mi hanno detto tutti che sono pazza! 😆
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