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La Sacher Torte

Gennaio 21, 2009 by Paola Sersante 144 commenti
Sacher Torte
Dunque io con le torte sono una vera frana, non so se perchè effettivamente non mi piace mangiarle o se perchè proprio richiedono un tipo di pazienza che io non ho… e non è la stessa pazienza di un lievitato, no! Qui si tratta di decorazione, di perfezione, una precisione millimetrica che io so di non avere.
 
Però tra poco è il compleanno di mio figlio e a lui piacciono le torte al cioccolato, per cui, visto che è molto tempo che osservo questa torta in modo reverenziale, (mi suscita quasi timore… )
E che sarà mai ? direte voi… be’, dovete sapere che in vita mia ho fatto ben due pan di spagna e sono finiti in pattumiera tutti e due, per cui mi son detta, suvvia, riprovo e sarà quel che sarà!
 
Ho studiato a lungo, per giorni, un sacco di ricette e alla fine ho scelto, su consiglio del mio amico Piero di gennarino, la ricetta di Teresa.
Di Piero mi fido, e lui mi disse… Paole’, pensa che a me la Sacher non piaceva, e dopo aver assaggiato questa… OK, basta così, mi hai convinto!
Il risultato non è certo quello che avrei voluto, quando faccio le cose mi piace farle bene… la glassa è andata per conto suo, la scritta poi, fatta versando la glassa fredda in un conetto di carta forno, poi non ne parliamo, ahahaha!!
Per cui la foto è solo quella della fetta, perchè la torta intera non dico sia inguardabile, ma insomma so vede di meglio in giro!
Però la torta è ottima, credetemi! Anche il mio “UomodelMonte” ha detto Sì alla ricetta, quindi SACHER TORTE approvata per il compleanno imminente!
 
Be’, ecco la ricetta con accanto le mie perplessità e i miei errori… se avete consigli, per far meglio grazie, è tutto ben accetto!
 
LA SACHER TORTE di TERESA
 
farina (20 gr)
maizena (40gr)
burro (90gr)
zucchero a velo (80gr)
cioccolato fondente (90 gr)
farina di mandorle (30gr) 3 amare
4 tuorli
5 albumi

1/2 bustina di lievito

 

PER LA GLASSA: di Maria Letizia
Non è morbida, è proprio un guscio, ma si taglia una meraviglia senza spezzarsi, credo sia perfetta!
200 gr di cioccolato fondente
70 gr di burro

2 cucchiai d’acqua

 

NOTE mie: la prossima volta ne farò doppia dose, perchè io che non ho la mano ho dovuto stenderla, e non era così tanta da colare per avere la superficie perfettamente liscia.
 
Procedimento:

Ho montato con le fruste per diversi minuti il burro morbido con 50 gr di zucchero, poi ho aggiunto i tuorli uno ad uno, aspettando che il precedente fosse ben amalgamato al composto.
Nel frattempo avevo fuso il cioccolato a bagnomaria e fatto intiepidire e l’ho amalgamato sempre montando bene.
Poi pian piano ma a mano, la farina, la maizena e la farina di mardorle setacciate bene con il lievito. In ultimo, cercando di non smontare il tutto, gli albumi montati a neve con il resto dell zucchero. Ho infornato in uno stampo estraibile da 24, a 170° per 40 minuti circa.
Una volta raffreddata, l’ho tagliata in due dischi con un filo da cucito posizionandolo tutto attorno alla torta e tirando verso di me.
Poi ho spennellato la superficie inferiore con della marmellata di albicocche che avevo precedentemente frullato bene con il mixer. Ne va poca, diciamo sui 3 mm.
Ho posizionato il disco superiore e l’ho spennellato anche questo con la marmellata, qui ne andava un velo… io ne ho messa troppa.
 
A questo punto ho preparato la glassa come da descrizione di Maria Letizia:
Far sciogliere a bagnomaria 200g di cioccolato fondente con 70g di burro e 2 cucchiai di acqua (fidatevi, non impazzisce), mescolando continuamente; il fuoco deve essere dolcissimo e l’acqua non deve bollire assolutamente, anzi, è meglio che ogni tanto togliete tutto dal fuoco per far perdere un po’ di calore. Quanto il cioccolato sarà diventato bello fluido e lucido lo si può versare sulla torta: tenete il piatto della torta poggiato su una mano e con l’altra versatevi il cioccolato fuso sopra, roteando il piatto della torta , in modo che il cioccolato copra tutti i lati.
 
Ecco, a me questa operazione è riuscita difficoltosa, forse, come dicevo, se avessi preparato la glassa in doppia dose, sarebbe stato più semplice… o forse avrei avuto bisogno di una spatola che non avevo e ovviamente di una buona mano!
 
Ma la bontà di questa torta, credetemi, è una cosa coinvolgente!
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I biscotti di Prato, detti anche Cantucci

Dicembre 7, 2008 by Paola Sersante 53 commenti

Visto che oramai ci siamo quasi, direi che è tempo di pubblicare qualche ricettina Natalizia, da regalare e da mangiare!

 

cantuccini

 

I cavallucci, che adoro perchè profumati di anice e di cannella, li postai già lo scorso anno, eccoli… e trovo che ci siano anche degli utilissimi commenti da parte di qualche lettore, per cui vado di cantucci!… i biscotti tipici natalizi, anche se dalle nostre parti si trovano in vendita tutto l’anno… ma quelli fatti in casa, concedetemelo, sono tutta un’altra cosa!… e sarà poi perchè questa ricetta, è veramente fantastica 🙂

 

La ricetta è di Stefano Spilli della Cucina Italiana, che ringrazio, perchè questa, tra quelle provate, è quella che più si avvicina agli originali, pur avendo il burro tra gli ingredienti che in effetti pare non ci sia, ma tant’è… 
Ho apportato solo qualche piccola modifica nella lavorazione, per cui la riscrivo come l’ho eseguita.
 
Cantuccini di Prato Stefano Spilli

 

 

 

Ingredienti:

 

450g. di farina 00
350gr. di zucchero (mettelo tutto, o ne va della croccantezza)
2 uova intere 
3 tuorli 
1 uovo intero per spennellare i biscotti
1/2 bustina di lievito per dolci
50g. di burro fuso tiepido
scorza grattugiata di un arancia piccola 
un pizzico di sale
250g. di mandorle sgusciate (ma non spellate)

 

 
cantuccini
 

 

Tostare leggermente le mandorle nel forno caldo.
Montare molto bene con le fruste o con lo sbattitore elettrico 2 uova intere e 3 tuorli con lo zucchero (aggiungere alle uova un pizzico di sale) finché non diventano bianche; aromatizzare con la scorza d’arancio grattugiata e aggiungere il burro fuso e tiepido.

 

Continuare a lavorare con le fruste elettriche aggiungendo man mano la farina setacciata precedentemente col lievito. Questa lavorazione da come risultato dei biscotti più friabili e ‘fini’
Se li preferite più compatti, rovesciate la farina sulla spianatoia e versateci dentro il composto ma non troppo montato.
Unire le mandorle e, se necessario, bagnando le mani con acqua fredda (non aggiungete farina) perché il composto è appiccicoso, fare 3/4 filoncini larghi ca. 3 dita e spessi 1 e disporli sulla placca del forno ricoperta di carta forno (oppure imburrata e infarinata). Siccome i filoncini cuocendo si allargheranno, potete anche usare l’accorgimento di fare una piega nella carta forno fra un filoncino e l’altro in modo da non correre il rischio che si attacchino fra loro. Spennellarli con l’uovo intero sbattuto e cuocerli in forno caldo a 180°/200° per circa mezz’ora. 
Sono cotti quando sono ben dorati e, toccandoli, si sente che i filoncini sono sodi all’interno. Farli raffreddare un po’ (altrimenti è difficile tagliarli perché si spaccano) e tagliarli, magari leggermente di traverso, allo spessore di circa 1.5cm e ridisporli distesi di fianco sulla placca del forno. Rimetterli in forno a biscottare sui due lati, (perchè i cantucci sono veri bis-cotti, perchè cotti 2 volte!) a circa 100° per circa 10 minuti, da una parte e l’altra, facendo attenzione a non lasciarli dorare dalla parte del taglio, altrimenti diventano troppo duri.
Anche se questi biscotti DEVONO essere duri, perché sono nati per essere inzuppati nel vino o, meglio ancora, nel Vinsanto o altro passito. Bisogna tenere presente che finché sono caldi la supereficie risulta ancora un po’ morbida, ma indurisce rapidamente raffreddandosi. 
Una volta freddi si conservano benissimo in scatole di latta. 
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La mantovana di Prato

Ottobre 27, 2007 by Paola Sersante 4 commenti
 
La Mantovana di Prato


Un po’ di Storia

Come Mantova, il territorio di Prato fu dominato dai Longobardi, che avevano prso stanza sulle rive del Bisenzio:non credo questo sia sufficiente a chiarire il perchè dell’aggettivo dato al dolce pratese.
Penso che la leggenda sia più vicina alla storia: dicono che la ricetta della “mantovana” l’avesse lasciata, alla corte De’ Medici, Isabella D’Este che nel 1490, a soli 16 anni, aveva sposato Francesco Gonzaga divenendo Marchesa di Mantova.
Isabella D’Este, nel 1914, fu ospite del Papa Leone X, a Roma, dove ritornò più volte, anche negli anni successivi, usando Firenze come città di transito.

Da “La Cucina Toscana” di Giovanni Righi Parenti

La Ricetta
La ricetta di questo dolce tradizionale pratese, ma diffuso in tutta la Toscana, mi è stata passata da una cara amica che l’ha ricevuta dalla sua nonna, toscana doc.
Io l’ho trovata delicatissima e squisita, adatta con un thè, ma credo che anche con un caffè, a colazione, non stia male per nulla.
Ve la trascrivo, sono sicura che piacerà anche a voi.

Ingredienti:
175 gr. di farina
175 gr. di zucchero
125 gr. di burro
3 uova
1 pizzico di sale
8 gr. di lievito
La buccia di 1/2 limone grattata
20 gr. di pinoli
40 gr. di mandorle a scaglie
40 gr. di mandorle tostate e sminuzzate per la teglia

Procedimento:
Ho montato molto a lungo, quasi 20′ le uova con lo zucchero e 1 pizzico di sale. Nel frattempo ho fatto sciogliere a
bagnomaria* il burro e l’ho fatto raffreddare. Ho unito la farina setacciata col lievito alternandola al burro e la buccia del limone. Ho imburrato bene bene una teglia di diamerto 26, e l’ho cosparsa con le mandorle sminuzzate e pochissima farina.
Ho versato l’impasto nella teglia e ho cosparso con le mandorle a scaglie e i pinoli.
Infine ho infornato a 180° per circa 35′.

* Questo sistema di scaldare, in un recipiente entro un altro pieno d’acqua bollente, prende il nome dalla leggendaria alchimista Maria l’Ebrea, secondo una tradizione araba, sorella di Aronne. Metodo già noto a Zosimo nel V secolo d.C.

Da “La Cucina Toscana” di Giovanni Righi Parenti

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E anche alcuni messaggi belli, che mi riscaldano il cuore e mi ripagano dell'impegno. 
E che mostrano anche come il gruppo sia di condivisione, dove ognuno aiuta l'altro nel percorso e nella crescita.
Il gruppo è stato creato un mese prima per poter seguire e dare supporto attivamente a tutti i partecipanti. 
Questo perché ho scelto di procedere durante il corso con una gestione completamente in naturale.
E' stata una scelta rischiosa, impopolare e azzardata la mia, che comporta anche eventuali piccoli insuccessi. 
Di solito in un corso, per essere tutti sincronizzati, si lavora con una piccola percentuale di lievito di birra sia in presenza e on-line. E questo mette al riparo da eventuali problematiche dovute al lievito madre.
In presenza spesso si lavora con un lievito madre sicuro che è quello di chi tiene il corso, e questo è sicuramente meno rischioso.
Questo non vorrà dire risultato certo, ma pazienza! Perché per arrivare al successo si passa attraverso tante piccole problematiche, delusioni, e anche risultati. Ma un panettone questo è, e non solo per gli amatoriali, anche per i professionisti che spesso si trovano ad affrontare problematiche gravi di gestione.
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