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Zuppa di Farro e Fagioli (di Sarconi) Toscana

Maggio 22, 2009 by Paola Sersante 34 commenti
Sì, vabbè mi pare di sentirvi, ehehe… che c’azzecca con ‘sto caldo la zuppa di farro!!

 

Allora, primo la zuppa di farro è ottima anche tiepida, per cui pure in pieno agosto … secondo, questa ricetta la dovevo a Tinuccia, e per ben due motivi!

 

Il primo è che quando mi è passata a trovare, oltre a tutte le cose che mi ha regalato, mi ha portato una splendida confezione di fagioli di Sarconi, tipici della Basilicata, precisamente i tabbacchini.
Il secondo è che quando siamo andati a pranzo, volevo farle assaggiare la zuppa di farro toscana, il problema è stato che quel giorno il grazioso ristorantino, ha preparato una zuppa che insomma, diciamo non era al meglio??

E allora, quale migliore pretesto (ma noi food bloggers ne abbiamo sempre uno… ) per andare a cercare del buon farro e far incontrare in una sola ricetta queste due splendide regioni e un’amicizia??

 

fra i Tabacchini di Sarconi da te.

E poi perchè Tinuccia ora ‘sta zuppa, l’hai da fa’, te la devo!!…
non hai il farro, vero?? … ehehe nessun problema, intanto ti do la ricetta 😉
 
… voi prendete nota, non sia mai vi venga voglia leggendo !
 
 
ZUPPA DI FARRO E FAGIOLI TABBACCHINI
da La Cucina Toscana di Giovanni Righi Parenti (con qualche mia piccola modifica)
 
Per 6 persone occorrono:
2 spicchi d’aglio
1 carota
1 rametto di prezzemolo
1 ciuffetto di basilico
1 costa di sedano
1 foglia di salvia
1/2 cipolla rossa
50 gr di pancetta
200 gr di fagioli secchi
2 cucchiai di conserva di pomodoro, meglio se concentrato
sale
olio extravergine di oliva
250 gr di farro
 
Per i fagioli:
La sera prima mettere a bagno i fagioli, poi cuocerli al mattino con uno spicchio d’aglio in camicia e 1 foglia di salvia fino a cottura. Salare alla fine.
 
Per la zuppa:
Si inizia con un soffritto preparato nel fondo di una pentola capace, meglio se di coccio, con pancetta tritata, olio e un battuto di tutti gli odori.
Appena il grasso inizia a sciogliersi e le verdure ad appassire, si uniscono i 2/3 dei fagioli passati al passaverdure, avendo cura di aggiungere interi i restanti. 
Si fa insaporire qualche minuto insieme alla conserva di pomodoro, dopodichè si porta a volume con la stessa acqua di cottura dei fagioli, si aggiusta di sale e si farà sobbollire a fuoco basso e coperto circa 45 minuti.
Si completa con la cottura del farro che avremo preventivamente sciacquato bene sotto acqua corrente dentro un colino.
 
Qui la ricetta del Parenti dice di far cuocere il farro 40 minuti, a me pare ci abbia messo un poco meno, per cui immagino dipenda dal tipo di farro, assaggiate dopo circa 20 minuti.
 
Servire con pecorino a piacere, un giro d’olio buono e una spolverata di pepe! Con una zuppa così, ci si riconcilia col mondo intero…
p.s. il giorno dopo, riscaldata, è ancora più buona 😉
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Il borbottino del Tosco, anzi del su’ nonno

Maggio 2, 2009 by Paola Sersante 18 commenti
Diciamo che con questi primi raggi di sole avevo voglia di qualcosa di semplice e fresco, anche se questo accostamento di sapori forti e decisi, può diventare un piatto unico, specie se, come dice il Tosco, lo si accompagna con un bel pezzo di pane toscano e un bel bicchiere di vino!
Sapori semplici,  piatti di poca apparenza e di molta sostanza…


Diciamo anche che, leggendo tra le ricette del Tosco, alias Gabriele Giovannelli, che poi ricette non sono ma racconti meravigliosi, mi sono imbattuta in questo borbottino del su’ nonno, e la prima cosa che ho pensato è di rifarlo tale e quale, la seconda di condividere il meraviglioso racconto con voi!!
 
IL BORBOTTINO DEL TOSCO, ANZI DEL NONNO DEL TOSCO
 
Lo diceva sempre il mì nonno, davanti a questo piatto.

 

Grande persona, il nonno. Ha segnato la mia vita in maniera indelebile. Spirito libero, autodidatta (aveva fatto la terza alle scuole domenicali!) col quale potevi affrontare qualunque argomento sicuro di trovarlo preparato, profondo conoscitore ed amante della montagna. 
Avevo solo 5 anni quando mi portò in cima alla Calvana, la “montagna” di Prato, e di lì mi fece ammirare quel bellissimo panorama della piana Firenze-Prato-Pistoia che avevamo ai nostri piedi. 
 
Quante volte siamo stati “in poggio” insieme, tornando sempre con qualche dono: a seconda della stagione, radicchio selvatico misto (“metti sempre poca salvastrella, che ha un sapore forte!”), mazzi di giunchiglie o giaggioli o altri fiori profumatissimi oltre che splendidi, funghi pinaroli o pennecciole o vesce o prataioli (niente porcini, in Calvana un fanno), asparagi selvatici da noi detti “spazzole” a mazzi grossi come un tronco, fichi seccati sulla pianta perché mai colti (dolcissimi!), il formaggio del primo sardo che aveva cominciato ad allevare pecore su quella montagna identica a quelle della sua isola, carsica e brulla (ma il nonno ce l’aveva con lui: le sue pecore brucavano tutti i germogli delle giunchiglie, che infatti dopo poco sono praticamente sparite!).
 

 

Aveva conosciuto la fame, il nonno: a 4 anni l’avevano mandato a “girare la ruota” del cordaio, per portare a casa anche quei pochi spiccioli; e come tutti coloro che hanno vissuto quella tremenda esperienza era un buongustaio. Nel senso che apprezzava i sapori semplici, i piatti di poca apparenza e di molta sostanza, le ricette che consentivano di usare poco companatico e di molto pane. 
 
Oltre che in tantissime altre cose, mi ha influenzato anche in questo, il nonno: spesso, quando imbratto le pentole, penso che a lui certe cose sarebbero piaciute molto.
E ho ripensato a lui anche ieri sera, quando ho fatto “il borbottino” per cena. 
Con quella strana parola a Prato si indica in genere una ricetta che richiede un misto di ingredienti: tipico esempio di un “borbottino” ad esempio è la minestra di pane, con tutti quei tipi di verdura. E lo sarebbe, sempre per esempio anche il cacciucco; ma questo non è un piatto molto pratese…
 
Il nonno però con quella parola identificava questo: 
Si prendono dei fagioli bianchi lessati, possibilmente in forno* (qui da noi si trovano in tutti i panifici). 
La cottura dev’essere piuttosto prolungata, i fagioli molto ben cotti ed il loro brodo denso. Si tirano su scolati ma non troppo, ed in una zuppiera si condiscono con pezzetti di pomodoro maturo (oggi uso i ciliegini), cipolla a fette (oggi uso la Tropea)messa in un bicchiere con l’aceto a perdere “il forte”, radici (=ravanelli) anch’esse a fettine, tre o quattro foglie di basilico spezzettate, un bel pezzo di tonno sott’olio grossolanamente sbriciolato. Olio d’oliva di Filettole (paesino alle falde della Calvana, noto per dare un olio squisito), l’aceto in cui hanno riposato le cipolle, sale, pepe abbondante ed una bella mescolata.
Nient’altro, se non un filone di pane a portata di mano. E vino rosso.
 
Magari, se potete, provate a immaginare il mi’ nonno che lo mangia a grosse cucchiate, dicendo estasiato: “che borbottino…”!
 
Sì, non ci è voluto molto ad immaginare il nonno, mentre mangiavo il borbottino… grazie Tosco, e grazie al nonno !!
 
 
*I FAGIOLI COTTI AL FORNO
Il Tosco scriveva su Coquinaria:
 
Sono dei normalissimi fagioli lessati in forno, normalmente dentro pentoloni di coccio. Qui da noi è uso comune che i fornai, terminata la cottura del pane, sfruttino il calore residuo mettendoci dentro dei pentoloni contenenti acqua e fagioli. La cottura è lenta, perché il calore va via via diminuendo; ed il risultato sono fagioli molto cotti, morbidissimi e quasi disfatti, e la loro broda è densissima.
Per me sono una delizia: la mia cena preferita è una bella scodella fumante di quella meraviglia, condita con il nostro olio che al calore emana un profumo eccezionale, del sale ed una bella macinata di pepe. 

Spezzetto via via il pane, lo butto nella scodella e gli faccio assorbire un pò di liquido. Quindi, ogni cucchiaiata contiene un pò di pane leggermente imbevuto ma con la crosticina ancora croccante, fagioli e broda.
Sarò sciocco, ma per un piatto di quella roba lì rinuncio a qualunque delizia, d’autore o no.

Se vuoi provare a rifarli, metti la pentola (il coccio sarebbe importante, ma puoi usare anche una pentola normale) nel tuo forno a temperatura non alta (160-170 gradi) e lasciala lì per un pò di tempo (diciamo circa 1,5 – 2 ore) finché i fagioli, cannellini o (goduria estrema!) zolfini non stanno quasi per disfarsi.

 

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Provo a raccontarlo...
Un #videocorso online, in DIRETTA funziona esattamente come un corso in presenza.
Ci incontriamo sulla piattaforma #zoom ognuno di noi prepara gli ingredienti in precedenza cosi da impastare insieme all'inizio del corso.
Ognuno con la propria impastatrice o planetaria. Con le proprie farine. Il proprio forno.
C'è una videocamera fissa di fronte a me e un'altra che riprende sempre l'impasto.
Puoi fare la stessa cosa anche tu, connettendoti con due dispositivi in modo che io possa seguire anche il tuo impasto.
Puoi scegliere anche solo di guardare e prendere appunti.
Non serve essere tecnologici, è sufficiente entrare su zoom da un link, e saremo tutti nella stessa stanza...
Spiegherò tutte le fasi dell'impasto, ogni volta prima di cominciare.
Tra una lievitazione e l'altra viene affrontata la parte teorica e si può interagire con le domande.
Ma c'è interazione, sempre, durante tutto il corso, io sono lì, con tutti voi!
Prima del corso viene creato un GRUPPO ESCLUSIVO WHATSAPP in modo che io riesca a seguire tutti. E dove potrai condividere i tuoi risultati.
Il gruppo rimane a tua disposizione anche dopo il corso, perché io possa darti supporto e assistenza quando ne avrai bisogno.❤️
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