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cucina toscana
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La focaccia di ceci livornese della Roberta

Agosto 2, 2010 by Paola Sersante 44 commenti
Chi mi legge sa che non amo particolarmente la carne, non è una scelta puramente etica, cioè non solo, è che proprio la carne, a parte poche eccezioni in poche macellerie, non mi piace, per non dir peggio, ma sarebbe un discorso lungo.
C’è da dire che, invece, amo particolarmente gli insaccati…
 
focaccia livornese ok
 
… e quando voglio della carne buona o degli ottimi salumi, vado da lei che produce personalmente gli insaccati.
Chi era al corso di Napoli, e ha assaggiato la pancetta tesa per le lumachelle, ne sa qualcosa, c’era chi addirittura se la mangiava invece di metterla nell’impasto, vero Patrizia? 😉
 
Va be’, ma che c’entra tutta ‘sta premessa mo con la schiacciata di ceci alla livornese?? c’entra…
Ora, è capitato che un pomeriggio afoso che sono andata da Roberta a comprare della finocchiona – ce l’ha spaziale – e ci siamo messe a parlare di cucina, di ricette, ma va?
Insomma, per farla breve, ho scoperto in lei una passione per la cucina che veramente va oltre… vi dico solo che sono entrata nel pomeriggio in gastronomia, per uscirne a ora di chiusura!
E in questo tempo mi ha dato, non solo alcune ricette che pian, piano riporterò nel blog, questa della focaccia è solo la prima, ma mi sta pure insegnando a fare i salumi in casa.
Anche se non è il momento giusto, di solito si fanno a novembre, ho già un capocollo sotto sale, che, appena pronto, porterò a stagionare nella sua cantina.
Ma di questo vi racconterò un’altra volta, almeno spero… voi intanto incrociate le dita per me, vero? 🙂
 
Ora vi racconto di questa focaccia coi ceci, che è la quintessenza di tutto quello che non si fa ( ma ho fatto 😛 ) con un lievitato, ma tant’è…
Dopo una breve ricerca in rete, ho chiesto a Roberta, ma la schiacciata di ceci non si fa con sola farina di ceci?
E lei mi ha risposto, sì, ma così viene più delicata, è in questo modo che si fa nella mia famiglia.
E così l’ho voluta rifare.
Speriamo che non legga il Maestro, rabbrividirebbe!
Ma io per questa volta ho voluto seguire passo, passo le indicazioni di Roberta.
 
Ovviamente, come molte ricette della tradizione, le dosi sono a occhio, o q.b. o quanta ne prende l’impasto… insomma, fatela così a sentimento 🙂
 
 
LA FOCACCIA (O SCHIACCIATA) DI CECI LIVORNESE, così come me l’ha raccontata la Roberta
 
Prendi un barattolo di ceci già lessati (che i puristi non si animino e ne cuociano esattamente la stessa dose) versa tutto in un pentolino – n.b. è importante, insieme alla loro acqua! – riempi poi lo stesso barattolo di acqua e versala nel pentolino.
Fai stiepidire appena – non scaldare, ma stiepidire! – i ceci con la loro acqua e l’acqua aggiunta.
Poi versa tutto in un recipiente e frulla insieme a 150 gr di pancetta tesa già tagliata a dadini.
I ceci dovranno diventare a crema, mentre non fa nulla, anzi meglio, se della pancetta rimane qualche pezzetto qua e là.
Non gettare via il barattolo dei ceci, perché dovrai riempirlo quasi per metà di olio extravergine di oliva che rovescerai nella ciotola.
Poi aggiungi il sale, non molto, ne basta un cucchiaino e mezzo, perché i ceci sono salati e anche la pancetta. Poi lievito sbriciolato, ora, in estate ne basta metà cubetto, ma in inverno ci vuole il cubetto intero, l’impasto è pesante.
Adesso aggiungi man mano della farina 00, ma anche 0 o mischiata non importa, quanta ne prende tutto il liquido, impasta e smetti non appena si stacca un po’ dalla ciotola, ma fai attenzione ché l’impasto dovrà rimanere molto morbido.
Allora lo prendi e lo rovesci sulla spianatoia appena infarinata, e impasta pochissimo, giusto il tempo di amalgamare gli ingredienti.
Fai attenzione ché più impasti e più diventa appiccicoso.
Rimetti in ciotola, copri e fai lievitare al raddoppio, ci vorrà un’oretta.
Poi, se la vuoi morbida e da farcire, stendi l’impasto a circa un centimetro di altezza in una teglia bella unta. Ma se la vuoi croccante, stendila sottile, sottile.
Quando hai fatto, spezzetta un rametto di rosmarino, ma non molto, altrimenti copre il sapore dei ceci, e mettine poco, poco sulla focaccia.
Poi dai un giro d’olio e una spolveratina di sale.
Accendi il forno a 180° e, non appena raggiunge la temperatura, inforna e falla cuocere fino a che la superficie è bella dorata.
Quando è pronta, tagliala a losanghe, e metti dentro ognuna una fetta di pancetta tagliata sottilissima.
Il calore della focaccia calda scioglierà il grasso della pancetta, una goduria.
 
piesse: ecco, già la ricetta mi piaceva a prescindere, ma quest’ultima frase mi ha convinto, tanto che le ho detto – Roberta, mi dai la pancetta q.b.? ché mo vado a comprare i ceci 😉
 
 
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Inviata speciale al Palio dello Stufato: resoconti, fotografie, ricette

Febbraio 24, 2010 by Paola Sersante 31 commenti

 

 

 

 

Ricordate, vi avevo raccontato qui che avrei partecipato al Palio dello Stufato?
Quello che, invece, non vi avevo detto è che ho fatto parte della giuria tecnica composta da 12 giornalisti ed esperti del settore enogastronomico, e guidata dal simpaticissimo Leonardo Romanelli, ospite d’onore il grande Fabio Picchi. C’era anche una giuria popolare composta da 50 persone… ed ero pure l’inviata speciale.
 

Scopo dell’operazione, fotografare la preparazione dello stufato e, soprattutto, cercare di carpire tutti i segreti del famoso
drogo, o “le droghe” assolutamente segrete, usate e sapientemente miscelate a San Giovanni Valdarno per preparare questo stufato (non chiamatelo spezzatino, guai!), un piatto fin’ora conosciuto solo tra le mura di questa città.
 

Dunque arrivo 8,30 e già nella cittadina si respira aria di fermento, entro poi in una delle otto gastronomie che partecipavano al palio, la Gastronomia Liliana e Romeo dove grazie alla loro disponibilità, ho portato a termine (come meglio ho potuto, vista la luce) il mio lavoro di fotografa e di inviata speciale.

 

 

Mi accoglie la signora Liliana, donna bellissima alla quale 50 anni di duro lavoro sembra abbiano funzionato come cura di bellezza, altro che terme, forse perché cucina con grande passione ed entusiasmo, e senza mai stanchezza in questa deliziosa gastronomia che pare una bomboniera tanto è graziosa, pulita e ricca di ogni ben di dio. Nulla è lasciato al caso, ogni prodotto, ogni cosa in vendita, sono sapientemente esposti, il tutto con cura, gusto e grande senso estetico, uniti ad una disponibilità, cortesia e gentilezza che completa il quadro.

 

 
Dopo il caffè ed un giretto nel locale, accompagnata dalla figlia Alice, tiro fuori la fotocamera e contemporaneamente inizio ad annusare (manco fossi un cane da tartufo, ehehe) cosa ci sarà nella miscela drogata?
Percepisco per prima cosa la cannella, (ma va??) poi il chiodo di garofano, e chiedo a Liliana che conferma e aggiunge la noce moscata, chiedo ancora ma non si sbottona…
Ma ad un certo punto mi pare di sentire coriandolo, forse anche zenzero (è possibile?)
Non lo sapremo mai, neppure sotto tortura! E devo dire che forse è giusto che sia così, un alone di mistero rende ancora più affascinante questa magnifica preparazione.
 
C’è da dire, poi, che il segreto non è solo nel numero degli aromi, ma nella loro perfetta miscela, ogni sangiovannese ha la sua, anche se sono convinta che non ce ne sia uno che non si diverta a miscelare ogni volta in modo diverso fino al raggiungimento di quella che è la sua perfezione!
 
Mentre fotografavo la signora Liliana e Romeo cucinavano il loro stufato, e nel frattempo me ne spiegavano la preparazione, in questo devo dire nessun segreto, anzi sono stati davvero generosi di consigli,.
Ed io (sempre che lo vorrete preparare, ma ve lo consiglio vivamente) ve li riporto pari pari:
 
– va usato il muscolo di zampa, quella anteriore, e la carne va bagnata assolutamente con un brodo fatto usando l’osso della stessa zampa, questo conferirà morbidezza alla carne, e la giusta cremosità al sugo.
– assolutamente no alla salsa di pomodoro, ma solo concentrato, e poco, Liliana dice che non deve essere “rosso”.
– niente aromi (spezie a parte) solo prezzemolo e cipolla, e assolutamente no al soffritto.

– la carne a piccoli pezzetti si pone nella pentola insieme a olio, cipolla e prezzemolo, il tutto così a crudo, poi le droghe.

 

 
Ecco, quest’ultima cosa ha suscitato in me una vecchia curiosità che credevo oramai sopita, ve la racconto brevemente, chissà che qualcuno sappia dare una spiegazione a tale procedimento.
Lo stesso procedimento lo usava mia suocera, la mitica nonna Ines per il suo ragù alla chianina, lo trovate qui.
Ne ho sempre chiesto a lei il motivo, anche e soprattutto perché, sia a casa sua che altrove, tutti e dico tutti, usano fare il soffritto prima di aggiungere la carne, Lei no!
Ora mi piacerebbe sapere qual è il motivo di questo procedimento, non usuale e anzi direi antico. Incredibile la similitudine col ragù, anche solo per il fatto di soli due odori usati, cipolla e prezzemolo.
 
Finito, quindi, il mio lavoro di reportage mi sono avviata verso i saloni della Basilica dove si è svolto il palio.
Erano 8 le gastronomie che partecipavano ha vinto quella di Mariella e Lucia, ma non erano uomini gli stufatari?? O stufatieri, come dice Cì?
 
Una bella esperienza, a me è piaciuto lo stufato che ha vinto all’unanimità, ma devo dire che era molto ben fatto anche quello che è stato votato dalla maggioranza della giuria tecnica, ero infatti fortemente indecisa.
Tutti e due erano perfettamente equilibrati nella miscela delle droghe, nessuna prevaleva sull’altra, anche se il primo era appena più piccante.
C’è da dire che un dubbio mi è venuto, ma chissà se poi nella storia dello stufato, una volta fossero molto più apprezzati quelli più fortemente speziati?
Non saprei…
 
Intanto il muscolo è in frigo, l’osso di zampa anche, io ci provo con il drogo già pronto e miscelato del negozio del Pratesi di San Giovanni che ci hanno regalato a fine manifestazione.
Oggi, se posso, dovrei passare a prendere anche quello della gastronomia di Liliana e Romeo che domenica ho dimenticato…
 
Intanto se volete provare lo stufato, e ve lo consiglio, vi lascio due ricette, la prima è quella che mi ha trascritto il mio amico Stefano Spilli, dal libro di Paolo Petroni, e che, oltre la noce moscata, cannella e chiodi di garofano, prevede il macis e il cardamono, chissà?
La seconda è quella in rima e raccontata che gira a San Giovanni Valdarno.
 
 

 

STUFATO ALLA SANGIOVANNESE, da Paolo Petroni, Il grande libro della vera cucina toscana, Il Centauro, Firenze, 1996, pag. 481
 
Ingredienti per 4 persone:
spezzatino di muscolo di vitellone: gr. 800
una cipolla
prezzemolo
brodo di osso di zampa
Spezie (vedi nota)
un cucchiaio di conserva
vino rosso
olio d’oliva
sale e pepe
In un tegame, possibilmente di coccio, mettere insieme 8 cucchiai d’olio, un trito fine di cipolla e prezzemolo, la carne, sale e pepe.
Fate rosolare e colorire, girando spesso, poi bagnate con un bicchiere di vino ed aggiungete un bel cucchiaio di spezie miste.
Appena sarà ritirato, unite il concentrato diluito in una tazza di brodo e proseguite la cottura, piano piano, bagnando con del brodo caldo man mano che occorre.

Per la cottura ci vorranno oltre 2 ore, dipende dalla carne, comunque alla fine dovrà essere morbidissima.

* * *

Per fare un ottimo stufato, come si usa a San Giovanni Valdarno, occorre usare del brodo di zampa (colloso) e soprattutto le spezie miste.
Queste spezie sono un segreto impenetrabile, sono vendute “in loco” e nessuno sa o vuole indicarne gli ingredienti.
Si chiamano “spezie da stufato”, si comprano e non ci si pongono tanti problemi.
Azzardo quindi una miscela, sulla base di un mio giudizio olfattivo e gustativo: chiodi di garofano pestati, cannella in polvere, noce moscata, macis, cardamomo.
Nel comune di San Giovanni, per le “Feste del Perdono”, si usa ancora oggi preparare un abbondante stufato che viene servito, nei locali annessi alla Basilica, a tutti i cittadini.

 

 

 

La Ricetta in rima
Se questo piatto buono tu vuoi fare

 

questi son gli ingredienti da adoprare:
muscolo libbre tre, tagliato a modo
e di osso e zampa a parte, fai del brodo.
Tanto prezzemolo e di cipolle una
fai un bel battuto con la mezzaluna,
vino, olio di oliva, un’impepata,
spezie, garofano e alfin noce moscata.
Indi di coccio un tegam devi pigliare,
ci versi l’olio ma senza esagerare;
perché riesca bene, se ti preme,
metti la carne col battuto insieme.
Allor che tutto principia a rosolare
non ti stancare mai di razzolare,
quando il colore ha preso marroncino,
metti le droghe e un bel bicchier di vino.
Appena il vino s’è tutto consumato
aggiungi il pomodoro concentrato
a questo punto puoi abbassare il fuoco:
cuoci aggiungendo il brodo, poco a poco.
Questo piatto che viene da lontano
saprà ridarti quel rapporto umano
e far capire anche al più somaro
che il tempo è vita e che non è denaro.

 

 

 
Altre notizie sul palio: qui i video, e la rassegna stampa. Un ringraziamento a Aida per l’organizzazione

 

 

 

 

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I veri ricciarelli di Siena, da un’antica ricetta del 1879

Novembre 30, 2009 by Paola Sersante 133 commenti
I ricciarelli sono una di quelle preparazioni alla quale ho sempre guardato con timore, un timore quasi reverenziale, non tanto per la difficoltà, quanto per il fatto che è una di quelle ricette così antiche, che mette, almeno a me, quasi soggezione. La soggezione che viene dal rispetto della tradizione.
 
ricciarelli©
 
Per anni l’ho letta e riletta nel libro di Giovanni Righi Parenti, quasi da impararla a memoria, ma il coraggio di farla è arrivato solo quest’anno, e, voi non ci crederete, ma al mattino, dopo averli impastati la sera avanti, mi tremavano quasi le mani mentre li formavo a rombo, esattamente come spiega il libro.
Ma, ripeto, non è una ricetta difficilissima, anzi è fattibile. E poi, i cavallucci li avevo già fatti, mancavano proprio loro da aggiungere alle preparazioni di Natale per eccellenza, almeno quelle senesi, anche se ce ne sarebbero altre, ma be’, spero di riparlarne…
 
Piuttosto nella ricetta trascritta a mano dal capomastro della fabbrica del Parenti, c’è forse un’imprecisione sulla quantità degli albumi, sicuramente dovuta al fatto che, come si legge nel libro, il foglio delle ricette tramandate, è molto vecchio e ingiallito, per cui forse quasi illeggibile, e per questo motivo, prima di postarli li ho fatti due volte, ma questo come sempre quando posto qualcosa di nuovo, soprattutto se ho sperimentato qualche aggiunta.
 
Infatti, così come dice il libro, oggi nei ricciarelli, per renderli più porosi, quindi anche più leggeri, si aggiunge ammoniaca per dolci (reperibile in farmacia), e difatti sia per questo motivo, per trovarne quindi la giusta dose, sia per al forma (forse quella del libro è più antica rispetto a quella che si trova attualmente), li ho appunto fatti un paio di volte, e non che sia stato un sacrificio!
E devo dire che, se la prima hanno avuto molto successo a casa, per la seconda sono andati in estasi, e credetemi, lo dico senza alcuna falsa modestia.
 
Ma d’altra parte, come potrebbe essere altrimenti visto che si parla di una ricetta datata 1879 e che proveniva da un celebre convento famoso per i ricciarelli? Usata poi dal capomastro Carlo Guerrini nell’industria Parenti che preparava i migliori ricciarelli di Siena!
 
 
I RICCIARELLI DI SIENA, ricetta del 1879 dalla fabbrica G. Parenti di Siena – ne ho ridotto le dosi per un uso famigliare e apportato qualche lieve modifica –
 

 

Per 1 kg di ricciarelli:
A.
300 gr di zucchero semolato
400 gr di mandorle pelate e asciugate 10′ in forno a 50°
50 gr di farina
15 gr di scorzetta d’arancio candita (o la buccia grattata di 4 arance)
1 fialetta di aroma di mandorle
 
B.
20 gr di zucchero a velo
20 gr di farina

 

1/2 cucchiaino raso (i miei sono piccolini) di ammoniaca per dolci (reperibile in farmacia)
1/2 cucchiaino raso (i miei sono piccolini) di lievito per dolci
 

 

C. (per la lega)
47 gr di zucchero semolato
14 gr d’acqua
 
D.
20 gr di zucchero a velo vanigliato
2 albumi di uova piccole/medie
 
zucchero a velo vanigliato e poco amido di grano (per lo spolvero)
ostie (reperibili in farmacia, ma non indispensabili)
 
Procedimento:
 
A. Passiamo nel mixer con le lame mandorle e zucchero, aggiungendo piano piano la scorza d’arancio e servendoci di un po’ di farina per facilitare l’operazione. Facciamo attenzione ad usarlo ad intermittenza, altrimenti le mandorle gettano il loro olio.
Poi amalgamiamo bene il tutto in una ciotola capiente insieme all’aroma di mandorle.

C. Prepariamo uno sciroppo, mettendo in un pentolino lo zucchero e versando dopo l’acqua, mettiamo a fuoco basso
senza rimestare mai, fino a che lo zucchero si scioglie. NON tenere più tempo al fuoco!
 
B. Setacciamo nel frattempo la farina con lo zucchero e gli agenti lievitanti al punto B.
Poi, non appena lo sciroppo è pronto (
cioè quando lo zucchero è sciolto completamente), impastiamo con le mani la pasta ottenuta, usando gli ingredienti di A, con lo sciroppo di C e aggiungendo lo zucchero, la farina e gli agenti lievitanti di B.
L’impasto rimarrà abbastanza umido ma non compatto, non preoccupatevi va bene così.
 
Importante: a questo punto lo copriremo con un panno bagnato e strizzato perchè non asciughi troppo (il panno non deve toccare l’impasto), e lo lasceremo riposare 12 ore circa.

Al momento dell’uso aggiungiamo lo zucchero vanigliato di
D, e gli
albumi che dovranno essere stati sbattuti rapidamente fino a che perderanno tensione, cioè inizieranno a fare piccole bollicine.
Impastiamo con le mani perchè il composto si amalgami bene e si compatti.
 
A questo punto, spolveriamo il piano di poco amido di grano e zucchero a velo vanigliato. Formiamo uno alla volta dei grossi salami, della grossezza di circa 4,5 cm. e li taglieremo a fette di 1 cm. l’una.
Cerchiamo di dare con le mani una forma più possibile romboidale ma dolcemente arrotondata.
I ricciarelli dovranno pesare tra i 25 massimo 30 gr l’uno!
Spolveriamo il ricciarello ottenuto, sul fondo con la miscela del piano, e cioè zucchero a velo/amido di grano, e sulla superficie di solo e abbondante zucchero a velo.
 
Adesso posizioniamo i ricciarelli ottenuti, man mano su di una teglia coperta di carta forno, oppure ognuno su di un’ostia. Io ho usato le ostie la prima volta, mentre la seconda ho poggiato direttamente su carta forno, non ho notato grosse differenze.
 
Accendiamo il forno a circa 140°/160° (regolatevi secondo il vostro forno) e inforniamo per circa 10/20 minuti, saranno cotti quando si formeranno in superficie delle leggere crepe. NON guardate il tempo!
… ma su questo sarebbe da scrivere un altro capitolo perchè ogni forno è una storia a se.
In ogni caso i ricciarelli dovranno rimanere bianchi e morbidi.
 
Quindi, non preoccupatevi se li vedrete ancora traballanti, appena si formano le crepe, via dal forno, induriranno leggermente da freddi!
A questo punto li toglieremo dal forno, li lasceremo asciugare su di una gratella e li conserveremo in scatole di latta ben chiuse, si conserveranno molto bene anche per una settimana, oltre non saprei.
C’è da dire che il giorno dopo cotti, sono qualcosa di paradisiaco!
 
piesse: non lasciatevi intimorire, come me, dalla lunghezza della ricetta, è solo ricca di spiegazioni, ma utilissime ad avere un ricciarello perfetto, che a parer mio non hanno paragoni con quelli in commercio!
 

 

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