Il borbottino del Tosco, anzi del su’ nonno

Diciamo che con questi primi raggi di sole avevo voglia di qualcosa di semplice e fresco, anche se questo accostamento di sapori forti e decisi, può diventare un piatto unico, specie se, come dice il Tosco, lo si accompagna con un bel pezzo di pane toscano e un bel bicchiere di vino!
Sapori semplici,  piatti di poca apparenza e di molta sostanza…


Diciamo anche che, leggendo tra le ricette del Tosco, alias Gabriele Giovannelli, che poi ricette non sono ma racconti meravigliosi, mi sono imbattuta in questo borbottino del su’ nonno, e la prima cosa che ho pensato è di rifarlo tale e quale, la seconda di condividere il meraviglioso racconto con voi!!
 
IL BORBOTTINO DEL TOSCO, ANZI DEL NONNO DEL TOSCO
 
Lo diceva sempre il mì nonno, davanti a questo piatto.

 

Grande persona, il nonno. Ha segnato la mia vita in maniera indelebile. Spirito libero, autodidatta (aveva fatto la terza alle scuole domenicali!) col quale potevi affrontare qualunque argomento sicuro di trovarlo preparato, profondo conoscitore ed amante della montagna. 
Avevo solo 5 anni quando mi portò in cima alla Calvana, la “montagna” di Prato, e di lì mi fece ammirare quel bellissimo panorama della piana Firenze-Prato-Pistoia che avevamo ai nostri piedi. 
 
Quante volte siamo stati “in poggio” insieme, tornando sempre con qualche dono: a seconda della stagione, radicchio selvatico misto (“metti sempre poca salvastrella, che ha un sapore forte!”), mazzi di giunchiglie o giaggioli o altri fiori profumatissimi oltre che splendidi, funghi pinaroli o pennecciole o vesce o prataioli (niente porcini, in Calvana un fanno), asparagi selvatici da noi detti “spazzole” a mazzi grossi come un tronco, fichi seccati sulla pianta perché mai colti (dolcissimi!), il formaggio del primo sardo che aveva cominciato ad allevare pecore su quella montagna identica a quelle della sua isola, carsica e brulla (ma il nonno ce l’aveva con lui: le sue pecore brucavano tutti i germogli delle giunchiglie, che infatti dopo poco sono praticamente sparite!).
 

 

Aveva conosciuto la fame, il nonno: a 4 anni l’avevano mandato a “girare la ruota” del cordaio, per portare a casa anche quei pochi spiccioli; e come tutti coloro che hanno vissuto quella tremenda esperienza era un buongustaio. Nel senso che apprezzava i sapori semplici, i piatti di poca apparenza e di molta sostanza, le ricette che consentivano di usare poco companatico e di molto pane. 
 
Oltre che in tantissime altre cose, mi ha influenzato anche in questo, il nonno: spesso, quando imbratto le pentole, penso che a lui certe cose sarebbero piaciute molto.
E ho ripensato a lui anche ieri sera, quando ho fatto “il borbottino” per cena
Con quella strana parola a Prato si indica in genere una ricetta che richiede un misto di ingredienti: tipico esempio di un “borbottino” ad esempio è la minestra di pane, con tutti quei tipi di verdura. E lo sarebbe, sempre per esempio anche il cacciucco; ma questo non è un piatto molto pratese…
 
Il nonno però con quella parola identificava questo
Si prendono dei fagioli bianchi lessati, possibilmente in forno* (qui da noi si trovano in tutti i panifici). 
La cottura dev’essere piuttosto prolungata, i fagioli molto ben cotti ed il loro brodo denso. Si tirano su scolati ma non troppo, ed in una zuppiera si condiscono con pezzetti di pomodoro maturo (oggi uso i ciliegini), cipolla a fette (oggi uso la Tropea)messa in un bicchiere con l’aceto a perdere “il forte”, radici (=ravanelli) anch’esse a fettine, tre o quattro foglie di basilico spezzettate, un bel pezzo di tonno sott’olio grossolanamente sbriciolato. Olio d’oliva di Filettole (paesino alle falde della Calvana, noto per dare un olio squisito), l’aceto in cui hanno riposato le cipolle, sale, pepe abbondante ed una bella mescolata.
Nient’altro, se non un filone di pane a portata di mano. E vino rosso.
 
Magari, se potete, provate a immaginare il mi’ nonno che lo mangia a grosse cucchiate, dicendo estasiato: “che borbottino…”!
 
Sì, non ci è voluto molto ad immaginare il nonno, mentre mangiavo il borbottino… grazie Tosco, e grazie al nonno !!
 
 
*I FAGIOLI COTTI AL FORNO
Il Tosco scriveva su Coquinaria:
 
Sono dei normalissimi fagioli lessati in forno, normalmente dentro pentoloni di coccio. Qui da noi è uso comune che i fornai, terminata la cottura del pane, sfruttino il calore residuo mettendoci dentro dei pentoloni contenenti acqua e fagioli. La cottura è lenta, perché il calore va via via diminuendo; ed il risultato sono fagioli molto cotti, morbidissimi e quasi disfatti, e la loro broda è densissima.
Per me sono una delizia: la mia cena preferita è una bella scodella fumante di quella meraviglia, condita con il nostro olio che al calore emana un profumo eccezionale, del sale ed una bella macinata di pepe. 

Spezzetto via via il pane, lo butto nella scodella e gli faccio assorbire un pò di liquido. Quindi, ogni cucchiaiata contiene un pò di pane leggermente imbevuto ma con la crosticina ancora croccante, fagioli e broda.
Sarò sciocco, ma per un piatto di quella roba lì rinuncio a qualunque delizia, d’autore o no.

Se vuoi provare a rifarli, metti la pentola (il coccio sarebbe importante, ma puoi usare anche una pentola normale) nel tuo forno a temperatura non alta (160-170 gradi) e lasciala lì per un pò di tempo (diciamo circa 1,5 – 2 ore) finché i fagioli, cannellini o (goduria estrema!) zolfini non stanno quasi per disfarsi.

 

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