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Lo stinco di maiale e i tagli o le preparazioni (quasi) dimenticate

Settembre 25, 2009 by Paola Sersante 58 commenti
E’ un po’ che mi chiedo come mai ci sono tagli e preparazioni di carne, e non parlo solo di frattaglie e similari, che anche mi piacciono molto, che, se pure tipici della cucina italiana, sono quasi dimenticati, o snobbati, tipo lo stinco, ma non solo…
Non so se capita in altre zone, lo chiedo a voi, ma di sicuro ci sono posti dove se lo chiedi al macellaio, e non parlo del super, quello ti guarda stranito e ti fa: ehmm, lo stinco?
sì perchè??

eh, non ce l’ho… non lo cerca mai nessuno, ma glielo posso ordinare!

stinco di maiale

Ecco, a me piacerebbe sapere se capita solo a me, e perchè non lo cerca mai nessuno, perchè davvero mi pare strano, o se invece è più un fatto di regioni, di tradizioni.
Ma pure la trippa o i fegatini, per esempio, piatto tipico in toscana, li prepara più nessuno in casa? Mia nonna preparava spesso una coratella mista in umido con le patate che era la fine del mondo, mia mamma la preparava poco, io per nulla, bisognerà che recuperi questa ricetta, anche se, lo so già, la mangerò solo io :((
Perchè ci sono piatti che stanno scomparendo, perchè piuttosto si vanno a mangiare al ristorante, ma a casa non si preparano più?
Perchè, sempre più spesso, se parli di coniglio, si hanno reazioni di quasi disgusto?

E sì che spesso sono tra quelle preparazioni, tra quei tagli di carne più economici, e non per questo meno buoni di altri, anzi!

 

O più semplicemente è un fatto di moda? come scrive l’Artusi, qui sui budini di farina di riso.
Ve lo riporto integralmente, è un po’ lungo, lo so, ma è davvero interessante, è un pezzo di storia, un pezzo di storia della Cucina Italiana:
 

 

La composizione di questo dolce, il quale probabilmente non è di data molto antica, mi fa riflettere che le pietanze pur anche vanno soggette alla moda e come il gusto de’ sensi varia seguendo il progresso e la civiltà. Ora si apprezza una cucina leggiera, delicata e di bell’apparenza e verrà forse un giorno che parecchi di questi piatti da me indicati per buoni, saranno sostituiti da altri assai migliori. I vini sdolcinati di una volta hanno lasciato libero il passo a quelli generosi ed asciutti, e l’oca cotta in forno col ripieno d’aglio e di mele cotogne, giudicato piatto squisito nel 1300, ha ceduto il posto al tacchino ingrassato in casa, ripieno di tartufi, e al cappone in galantina. In antico, nelle grandi solennità, si usava servire in tavola un pavone lesso o arrosto con tutte le sue penne, spellato prima di cuocerlo e rivestito dopo, contornato di gelatine a figure colorate con polveri minerali nocive alla salute, e pei condimenti odorosi si ricorreva al comino e al bucchero che più avanti vi dirò cos’era.
Le paste dolci si mantennero in Firenze di una semplicità e rozzezza primitiva fin verso la fine del secolo XVI, nel qual tempo arrivò una compagnia di Lombardi, che si diede a fare pasticci, offelle, sfogliate ed altre paste composte d’uova, burro, latte, zucchero o miele; ma prima d’allora nelle memorie antiche sembra che sieno ricordati soltanto i pasticci ripieni di carne d’asino che il Malatesta regalò agli amici nel tempo dell’assedio di Firenze quando la carestia, specialmente di companatico, era grande.
Ora, tornando al bucchero, vi fu un tempo che, come ora la Francia, era la Spagna che dava il tòno alle mode, e però ad imitazione del gusto suo, al declinare del secolo XVII e al principio del XVIII, vennero in gran voga i profumi e le essenze odorose. Fra gli odori, il bucchero infanatichiva e tanto se ne estese l’uso che perfino gli speziali e i credenzieri, come si farebbe oggi della vainiglia, lo cacciavano nelle pasticche e nelle vivande. Donde si estraeva questo famoso odore e di che sapeva? Stupite in udirlo e giudicate della stravaganza dei gusti e degli uomini! Era polvere di cocci rotti e il suo profumo rassomigliava a quello che la pioggia d’estate fa esalare dal terreno riarso dal sole; odor di terra, infine, che tramandavano certi vasi detti buccheri, sottili e fragili, senza vernice, dai quali forse ha preso nome il color rosso cupo; ma i più apprezzati erano di un nero lucente. Codesti vasi furono portati in Europa dall’America meridionale la prima volta dai Portoghesi e servivano per bervi entro e per farvi bollir profumi e acque odorose, poi se ne utilizzavano i frantumi nel modo descritto.
Nell’Odíssea d’Omero, traduzione d’Ippolito Pindemonte, Antinoo dice:
… Nobili Proci,
Sentite un pensier mio. Di que’ventrigli
Di capre, che di sangue e grasso empiuti
Sul fuoco stan per la futura cena,
Scelga qual più vorrà chi vince, e quindi
D’ogni nostro convito a parte sia.
Nel Tom. 6° dell’Osservatore Fiorentino si trova la descrizione di una cena, la quale, per la sua singolarità, merita di riferirne alcuni passi:
«Tra i piatti di maggior solennità si contava ancora il pavone, cotto a lesso con le penne, e la gelatina, formata e colorita a figure. Un certo senese, trattando a cena un Cortigiano di Pio II (alla metà del 1400 all’incirca) per nome Goro, fu sí mal consigliato in preparar questi due piatti, che si fece dar la baia per tutta Siena; tantopiù che non avendo potuto trovar pavoni, sostituì oche salvatiche, levato loro i piedi ed il becco.
«Venuti in tavola i pavoni senza becco e ordinato uno che tagliasse; il quale non essendo più pratico a simile uffizio, gran pezzo si affaticò a pelare, e non poté far sì destro, che non empiesse la sala e tutta la tavola di penne, e gli occhi e la bocca, e il naso e gli orecchi a Messer Goro e a tutti…
«Levata poi questa maledizione di tavola, vennero molti arrosti pure con assai comino; non pertanto tutto si sarebbe perdonato, ma il padrone della casa, co’ suoi consiglieri, per onorare più costoro, aveva ordinato un piatto di gelatina a lor modo, e vollero farvi dentro, come si fa alle volte a Firenze e altrove, l’arme del Papa, e di Messer Goro con certe divise, e tolsero orpimento, biacca, cinabro, verderame, ed altre pazzie, e fu posta innanzi a Messer Goro per festa e cosa nuova, e Messer Goro ne mangiò volentieri e tutti i suoi compagni per ristorare il gusto degli amari sapori del comino, e delle strane vivande.
«E per poco mancò poi la notte, che non distendessero le gambe alcun di loro, e massime Messer Goro ebbe assai travaglio di testa e di stomaco, e rigettò forse la piumata delle penne selvatiche. Dopo questa vivanda diabolica o pestifera vennero assai confetti, e fornissi la cena».

 

 

Pellegrino Artusi
 
Che ne dite?
Niente pavone cotto a lesso con le penne, solo le vostre considerazioni e riflessioni se vi va …
 
STINCO DI MAIALE AL FORNO
per 4 persone, costo totale meno di 10 euro
 
4 stinchi di maiale
rosmarino
aglio
olio extra vergine di oliva
pepe
sale
patate
Pillottare lo stinco con l’aglio e il rosmarino, salare, pepare e massaggiare bene con l’olio, meglio anche se qualche ora prima.
Adagiarlo in una teglia da forno ben unta e infornare a 180° / 200° per circa 2 ore facendoli rosolare bene. Continuare la cottura per ancora 1 ora bagnando ogni tanto con poco vino bianco o rosso per evitare che si secchi, e girandoli di tanto in tanto. Nel frattempo pelare le patate, tagliarle a grossi spicchi e gettarle in acqua bollente fino alla ripresa del bollore. Scolarle immediatamente, asciugarle, metterle in un’altra teglia, condire con olio, sale, pepe e rosmarino e infornare fino a che saranno croccanti, e servirle con lo stinco.
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